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venerdì, Febbraio 21, 2025

Recensione album | L’albero delle noci – Brunori Sas

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Con la sua capacità di intrecciare poesia e ironia, introspezione e osservazione socialeDario Brunori, in arte Brunori Sas, ha conquistato pubblico e critica in 16 anni di carriera. Ora, con la partecipazione al Festival di Sanremo 2025, il suo racconto musicale si apre ancora di più, raggiungendo un pubblico sempre più vasto attraverso la kermesse che ferma l’Italia.

Dopo il successo di Cip! e cinque lunghi anni di attesa, il cantautore calabrese torna con L’albero delle nociSonorità avvolgenti e testi densi di significato attraversano le dieci tracce che compongono l’album, pubblicato per Island Records, che ci regala per la sesta volta la poetica inconfondibile di Brunori, rafforzata dal sodalizio con Riccardo Sinigallia, produttore dell’intero progetto.

Non un esercizio di stile, non un manifesto programmatico, ma un viaggio dentro le emozioni nella loro forma più pura. Così Dario Brunori racconta la genesi di L’albero delle noci, un album nato con l’intento di dipingere stati d’animo, di raccontare senza sovrastrutture, lasciando che le canzoni respirassero nella loro essenza più autentica.

Forse l’aspetto più sorprendente del disco sta in tre brani registrati con un cellulare, pochi minuti dopo la loro nascita. Errori, esitazioni, respiri, sorrisi e sussulti sono rimasti impressi come impronte sulla sabbia, segni indelebili di un istante irripetibile. Perché l’urgenza di dire qualcosa non ha bisogno di perfezione, ma solo di sincerità.

E in un tempo in cui la musica sa sempre più di software, L’albero delle noci è un racconto intimo e umano, la prova che, a volte, la musica più vera è quella che non cerca di essere nulla se non se stessa. Proprio come Dario, da San Fili a Sanremo, perfino nel giorno di San Valentino o San Faustino.

1. Per non perdere noi

L’album si apre subito con un brano e delle parole che fanno allentare il nodo della cravatta e versare vino. «Alla fine dei conti non è nemmeno l’amore / il punto della questione / è quasi un’ostinazione / a tenere in piedi un sogno, un ideale». Un tono riflessivo, sospeso tra malinconia e consapevolezza. Un invito a non perderci, a rimanere saldi in un sogno condiviso, nonostante le difficoltà e le incertezze. Per (due che come – non perdere) noi.

La melodia avvolgente non vuole farci male, ma ci stringe lentamente, come un abbraccio che sembra dare conforto, mentre l’arrangiamento cresce gradualmente, seguendo l’intensità delle parole. La musica, come una carezza, costruisce la tensione, senza mai forzare. E nel finale, quando tutto esplode in un’ondata di emotività, la noce che hai preso in mano rimane ancora lì. Una bellezza fragile, che resiste. «Siamo stati due eroi / A non perderci, noi».

2. L’albero delle noci

La title track, presentata a Sanremo 2025, è il cuore dell’album. L’albero delle noci non è solo un’immagine, ma un compagno di viaggio, un testimone discreto della sua quotidianità da più di tredici anni. Forte e silenzioso, con le radici ancorate alla terra e i rami che si allungano verso il cielo, è il simbolo perfetto della paternità, di quel bisogno di restare saldi mentre tutto intorno cambia.

Avvolto da un’orchestra che cresce in intensità, Brunori si fa sentire con la sua chitarra, semplice ma decisa, come se sottraendo potesse bastare. In questa essenzialità risiede la sua forza: una melodia che non ha bisogno di ricchezze sovrabbondanti, ma che trova nel vuoto e nell’essere scarno la sua poesia. Come un battito che segna un tempo diverso, pieno di riccioli, che non toglie, ma trasforma.

E così, nota dopo nota, la paternità diventa un pretesto poetico per raccontare la vita. Perché in fondo, crescere – come essere padre o perdere il padre – è accettare il cambiamento, abbracciare le stagioni che si susseguono, restare e rinnovarsi, proprio come fa un albero, proprio come fa l’amore. «E tutta questa felicità forse la posso sostenere / Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore / E posso navigare sotto una nuova stella polare». Il viaggio è iniziato.

3. La ghigliottina

Ad anticipare forse il sogno della partecipazione a Sanremo 2025, la pubblicazione di due singoli, tra cui La ghigliottina a settembre 2024. 

In un flusso vorticoso di immagini, pensieri e contraddizioni, il brano dal ritmo serrato si fa veicolo di riflessioni taglienti, con la penna di Dario Brunori che scava in profondità, tra ironia e la disillusione, svelando con una critica aperta le molteplici sfaccettature della contemporaneità. «Il vero lusso è la povertà / Mi dicevi l’altra sera a tavola / Il vero lusso è la povertà / Perché il povero un sogno ce l’ha». Il brano alterna giri di chitarra sobrii all’inizio, per poi evolversi in riff impetuosi in un gioco di tensioni e contrasti che accompagnano una performance vocale energica, quasi rabbiosa. La rabbia che devi metterci con lo schiaccianoci in mano, pronta a lacerare il silenzio con la forza della parola. «Quante cose si dicono a tavola / Che in pubblico non diresti mai / Sopratutto da quando la ghigliottina Ha la lama affilata e lo sai».

4. La vita com’è

Il brano, candidato nel 2024 al David di Donatello come miglior canzone originale, è la colonna sonora del film Il più bel secolo della mia vita di Alessandro Bardani. Un pezzo che segna un cambio di atmosfera e, all’improvviso, ti ritrovi con il gheriglio di noci incastrato tra il suo guscio. Brunori non offre risposte facili, non giudica, non condanna, ma ci accompagna nel confronto con la nostra realtà, lasciando che sia la musica a parlare per lui. Ci mette davanti uno specchio, costringendoci ad affrontare quella verità che hai sempre evitato. Guardarsi dentro è più difficile che guardare dall’esterno. E proprio in questo silenzioso confronto con se stessi, la musica si fa veicolo di introspezione. I cori amplificano la profondità del testo, mentre il sound si fa più leggero, con sfumature folk che accompagnano la poesia delle parole, come un sussurro che si fa sempre più chiaro. «E no, no, no, non è / Che non puoi tornare indietro / No, no, no, non è / Che l’amore non ritorna più, no, no / Anche se tornasse indietro / Non ci troverebbe più / Perché sai l’amore com’è / L’amore non è / come volevi tu / Uh, uh».

5. Pomeriggi catastrofici

Brunori è calabrese, che è la terra in cui davvero la neve incontra il miele, la terra di Otello Profazio, simbolo della musica popolare calabrese, e quella dove la famiglia è la base, il punto di partenza per resistere. «La vita è proprio una vera meraviglia / Se stai con la famiglia niente ti può accader / Se stai sempre in famiglia niente mai ti accadrà».

Con un pianoforte che guida le note come un timone, il brano ci fa diventare giocolieri con le noci, ognuna è un ricordo, un frammento di vita, un simbolo di piccole gioie quotidiane. Il testo traccia i contorni di giornate e strade cosentine, e dopo un Festival che ha fatto togliere collane e capovolgere magliette, la corsa ideale dentro al negozio di calzature Forgione è una rivincita che fa bene alla sincerità che Brunori insegna, senza calcolatrice in mano nonostante partite doppie aperte!

Poi, mentre ti muovi e continui a giocare con le noci, tante lacrime ti scivolano, cogliendo una bellezza che non può essere persa con il ricordo di una cugina che per Dario si chiama Anna, per altri Nilla, per altri Iosè, per altri Chiara, per altri Sabrina. Ma per tutti è sempre la più bella. «Mhm, è Anna la cugina più bella / È volata su una stella e mai più ritornerà / Anna, eri tu la più bella / Sei volata su una stella e mai più ritornerai». E piangi come un’onda che solleva e poi si ritira, lasciando una scia di emozioni che non si possono fermare.

6. Il morso di Tyson

Forse il pezzo più audace dell’album, singolo pubblicato a novembre 2024, in cui si avverte forte l’impronta di Riccardo Sinigallia. Il titolo richiama il celebre episodio del pugile Mike Tyson, ma la canzone è molto più di un semplice riferimento sportivo: è la colonna sonora di uno scatto emotivo che Giacomo Triglia, regista di tutti i suoi video, ha saputo trasformare in pellicola. E mordi la noce per non darti un pugno allo stomaco.

Corde potenti, una batteria incalzante, un testo che graffia e racconta di istinto, pulsioni e aggressività repressa. Una tensione che sale fino a esplodere, proprio come sul ring.
«Meno male che ci siamo voluti bene / Quando tutto era possibile / Persino credere all’amore / Al grande amore».

7. Fin’ara luna

Un intermezzo dal tocco sperimentale, un respiro sospeso dentro l’album. Il dialetto cosentino diventa melodia, memoria e verità, avvolto da un arrangiamento delicato che sa di casa e di assenza, e permette di raggiungere atmosfere sospese con una ninna nanna che – come un giro di valzer -ribalta quel “te la saresti cavata certo sempre meglio di me”.  

«E ‘u prevt m’ha dittu ‘i sta tranquillo / Che addù sì mo’ c’è bello, e cca nun chiangi cchiù / Ma io ca tu chiangiasi un ‘mma ricuordo / E mi para nu suonno, ‘ca nun ti dicu i cchiù». Dopo un amore lungo una vita, serve una forza lunga un perdono per accettare il disegno del buon Dio, ‘u Patri Eternu

Maria per me è Letizia. E Agostino piange, mentre le tiene ancora la mano. Sessantaquattro anni insieme non si interrompono per una lapide nera e fredda, ma vanno oltre. Oltre il tempo, oltre la carne, oltre la terra.

E tu, mentre ascolti, inizi a sbucciare il gheriglio di noce, come a voler toccare qualcosa di vero, di concreto.

8. Più acqua che fuoco

Brunori è anche rock. È rivoluzione. Non spegne con l’acqua il fuoco, la mette sul fuoco per farla bollire. È un narratore anche quando fa vibrare le casse, quando la sua voce si fa rabbiosa, la batteria scalpita e la chitarra scalcia.
«L’amore, l’amore, l’amore è più acqua che fuoco / Più acqua che fuoco / Il desiderio dura un istante / L’amore, l’amore, l’amore è una cosa devastante».

E apri il rubinetto e fai scorrere l’acqua. Lavi le noci, anche se non ce ne sarebbe bisogno. Ma tu le vuoi bianche, pure, levigate come certe illusioni.

9. Luna nera

Una traccia notturna, avvolgente, e una tromba che ti trasporta tra i vicoli di Cosenza vecchia, talmente bella che in molti si sono dimenticati di ricordarglielo. «Per strada non ti guarda quasi più nessuno / Ormai cercano le stelle con la spunta blu / Non lo sanno che le stelle, anche quelle vere / Non brillano come brilli tu».

E così prendi quella bottiglia di vino rosso, regalo di qualcuno che adesso non ricordi, e ti siedi al tavolino del tuo disincanto. Sai che per accompagnare le noci ci vuole un gusto forte, deciso. Ma la cantina del tuo cuore, non ha mai la bottiglia perfetta. «Luna, non piangere, dai / Non ti ci mettere anche tu / Che la notte è già troppo buia / E non ti vedo più».

10. Guardia giurata

La chiusura dell’album è affidata a un brano dal tono narrativo, quasi teatrale, che abbraccia il cuore con la delicatezza di una confessione sussurrata. Le sonorità sono quelle della Brunori Sas che amiamo da anni, intime, sincere, senza fronzoli. E proprio nella scelta di lasciare una traccia registrata con il cellulare, con tutti i suoi respiri, gli inciampi e la verità della prima volta, c’è un senso di compiutezza. In quel singhiozzo c’è tutto l’amore, tutto quello che il Covid ci ha sottratto. Ci sono le vite che nascono e quelle che finiscono in solitudine. C’è mio padre che nasceva al cielo ed io non ero con lui, per quel dannato regolamento.

E mentre il vino riempie il bicchiere, mastichi le noci, come segreti da svelare lentamente, senza fretta. Con il piacere di scoprire ogni sfumatura, ogni dettaglio. Anche quelli che fanno male, come le noci che sono un po’ amare, ma buone. Sempre

«E in una stanza d’ospedale, come la sera di Natale / Io, tu e tua madre, per tutta la vita / Con tutto l’amore».
_________

E non resta che riempire un altro calice e premere ancora una volta play, lasciando che le note si diffondano nell’aria, come una carezza che sfiora l’anima mentre il tempo sembra rallentare, ma il cuore batte forte.

Perché, alla fine, ogni canzone è come una noce: ci vuole pazienza per aprirla, ma una volta che la si svela, il sapore è sempre più ricco di quanto ci si aspetti. E così, tra il suono delle parole, il calore del vino e quelle lacrime che rigano il viso senza avvertire, non rimane che abbandonarsi alla profondità di un disco che non ha bisogno di perfezione, ma solo di essere vissuto. Grazie Dario!
Ti aspettiamo a Taurianova, qui dove ti abbiamo conosciuto.

Brunori
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Nadia Macrì
Nadia Macrì
direttore

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