C’è una prima volta per ogni cosa, anche per un concerto. Era il 2010 e Dario Brunori era ancora per pochi, uno che raccontava storie, anche se sotto a quel palco eravamo in tantissimi ad ascoltare quelle canzoni che oggi sembrano essere di nuovo lì, in una piazza che profuma di estate e di rivoluzione.
Anche noi avevamo un Festival. Era la Quinta Edizione del Festival Invadente e Irriverente di Taurianova, Invasioni Urbane, tre giorni di arte e creatività che trasformavano il Centro Storico in un mosaico di installazioni, mostre, performance, laboratori e musica dal vivo. Un piccolo miracolo, organizzato e diretto dall’Associazione Mammalucco, che faceva breccia nella quotidianità, portando l’inaspettato fra le strade del paese.
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Sul palco, accanto a lui, c’era Simona, l’amore di sempre, la compagna di viaggio e oggi mamma di Fiammetta, che con la sua presenza discreta e luminosa dava anche sul palco un’aria di famiglia, di casa, di autenticità. Perché la musica di Brunori è sempre stata così: un abbraccio caldo, un invito a sedersi a tavola, un bicchiere di vino rosso e due chiacchiere sulla vita.
Dario aveva da poco pubblicato il suo primo album in studio Vol.1, e non era stato piantato ancora L’albero delle noci nella sua San Fili.
Quando attaccò con Guardia ’82, bastarono poche note per portare tutti indietro nel tempo, a quell’infanzia fatta di biciclette scassate, palloni bucati e vigilantes in divisa che sembravano giganti.
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E poi arrivò il brano Rosa, che fu pubblicato solo nell’album successivo, e la piazza si fece silenziosa. Di quella canzone avevamo visto tutti anche il video per una presenza taurianovese, sembrava una pellicola di un vecchio film, una storia d’amore tra due anime semplici, così normale da essere straordinaria. “Devo prendere il treno per andare a Milano, a Torino, a Bologna insomma devo scappare che qui in Calabria non c’è niente, proprio niente da fare. C’è chi canta e chi conta e chi continua a pregare”, cantava Brunori e alla regia Giacomo Triglia, da sempre il regista dei suoi video. Cresciuto parallelamente a Dario.
Parole che erano carezze e pugni nello stomaco insieme per noi che ci affacciavamo al mondo del lavoro. Dario però in Calabria ci è rimasto, anzi è tornato per starci per sempre, un po’ come noi.
Con Come stai l’atmosfera cambiò di nuovo. Una domanda apparentemente banale, ma che graffia l’anima, e graffiava anche noi, giovani che potevamo fare tutto, sapendo che si avvicinavano gli anni delle rinunce, della vita che passa e che non ci somiglia più. La chitarra acustica si mescolava alla voce di Dario, che tra una canzone e l’altra era ironico contro la paura.
Quando le prime note di Kurt Cobain risuonarono, tutti, almeno per un momento, ci sentimmo compresi, come se quelle parole fossero state scritte apposta per noi. Cantore della consapevolezza, narratore del presente, di quella strana età di mezzo in cui si smette di sognare di essere rockstar e si inizia a fare i conti con la realtà.
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Il concerto finì troppo presto, come finiscono sempre le cose belle. Ma restava l’eco della voce di Brunori che si mescolava ai passi lenti della gente che lasciava la piazza, con la sensazione di aver vissuto qualcosa di raro, qualcosa di vero. Taurianova, con il suo Festival Invadente e Irriverente, che pochi compresero in quegli anni, aveva regalato un’altra notte di bellezza.
E oggi, dopo anni e dischi, dopo successi e riconoscimenti, quella prima volta rimane impressa come una vecchia fotografia ingiallita: Brunori sul palco, Simona accanto, noi con un bicchiere di birra in mano e il naso all’insù e le canzoni che, da quel giorno, non avrebbero più smesso di accompagnarci. Fino ad oggi. Brunori Sas sul palco dell’Ariston, Simona abbracciata sul divano rosa con Fiammetta, noi con una tisana in mano e gli occhi all’insù. Verso la stella polare.
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