Il 19 luglio 1992 è una data simbolo per la sua tragicità. Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vive sua madre. Un attentato ordito dalla mafia, con mandante Totò Riina, uccide oltre al giudice Borsellino anche gli agenti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosima e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto è Antonio Vullo. Un destino legato da un filo sottile a quello del giudice Giovanni Falcone ucciso 57 giorni prima di quel 19 luglio nella strage di Capaci.
Paolo Borsellino, alla morte dell’amico e collega Giovanni Falcone, ne rimase sconvolto perché egli perse colui che considerava “il suo scudo contro il male” e la paura, la rabbia e la voglia di giustizia si mescolarono con la necessità di capire. Iniziò il suo ultimo periodo, in cui continuò a combattere contro la criminalità di “Cosa Nostra”, che si era insediata ormai da tempo in Sicilia e che per i suoi scopi illeciti non aveva fatto altro che fare stragi contro vittime innocenti. La mafia uccise quindi oltre ai boss rivali anche personalità importanti della giustizia italiana che si accingevano ad indagare e ad essere sempre più vicini agli intrecci criminosi.
La vita del giudice Borsellino inizia nei vicoli della Kalsa, il ventre di Palermo. Si trattava di un quartiere che racchiudeva l’anima di Palermo, in cui circolavano famiglie per bene ma anche soggetti facenti parte della criminalità organizzata. Lì vive la sua infanzia sognando il futuro insieme all’amico Giovanni Falcone. Nel luglio 1975 Paolo Borsellino ritorna a Palermo con la moglie Agnese e i tre figli, ed il suo incarico è quello di giudice istruttore affidato a Rocco Chinnici il suo mentore, ma anche colui che aveva incarnato la figura di un padre che aveva perso la giovane. Pochi anni dopo la vita di Borsellino torna intrecciarsi con quella di Falcone. I due giudici avevano sradicato la mentalità dell’epoca, perché per la giustizia era giunto il momento di avere coraggio e fare i conti con la mafia. Loro furono i primi a far capire che la magistratura ha il compito di combattere la mafia e non di limitarsi a indagare: i siciliani non dovevano convivere con la mafia.
Il 1992 è stato un anno strategico e terribile perché se al sud ritroviamo il fenomeno criminoso mafioso, al nord invece lo scandalo “Tangentopoli”. È un periodo in cui il Parlamento è debolissimo e subentrano grandi rivoluzioni. A un mese dai fatti di Capaci, Paolo Borsellino cominciò a mettere in fila i pezzi del mosaico e comprendere che il prossimo obiettivo non poteva che essere lui. Il suo scrupolo, in quei giorni cruciali di luglio, era quello di proteggere le persone che lo circondavano tenendole a distanza per evitare che potessero essere coinvolte in un possibile attentato contro di lui.
Agli inizi degli anni ‘80 la gente comune non credeva nelle istituzioni perché come ripeteva Paolo Borsellino: “le istituzioni si mostrano molto spesso con il volto di personaggi impresentabili”.
Falcone e Borsellino nel pool antimafia svolsero una funzione simbolica importantissima, perché per la prima volta incarnarono uno Stato credibile. Il lavoro degli uomini del pool antimafia diede subito grandi risultati scuotendo fortemente Palermo, ma il 29 luglio 1983 la mafia uccide il giudice Rocco Chinnici. A Chinnici sussegue Antonino Caponnetto che rilancia il lavoro del pool. Oltre quell’Italia rassegnata, della mafia invincibile, della corruzione, esisteva un gruppo di uomini che avevano caricato sulle loro spalle una missione che sembrava impossibile, per applicare la legge in modo uguale per tutti, ed arrivare ad arrestare non soltanto le pedine usate dalla mafia per i propri scopi illeciti, ma anche cosiddetti “colletti bianchi” cioè i potenti intoccabili che si nascondevano dietro la rete capillare di corruzione.
Grazie alla collaborazione dei pentiti come Tommaso Buscetta, i magistrati del pool poterono istituire il primo grande processo a Cosa Nostra. Il maxiprocesso iniziò il 10 febbraio del 1986 e si chiuse il 16 dicembre del 1987 con una sentenza che portò a 19 ergastoli. Si trattò di una vittoria raggiunta tra sacrifici e amarezze, soprattutto per Paolo Borsellino che nel frattempo lasciò Palermo, divenendo procuratore capo a Marsala. Dopo che il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), preferì il magistrato Antonino Meli rispetto a Falcone, come successore di Caponnetto, in qualità di nuovo consigliere istruttore di Palermo, la reazione di Paolo Borsellino non si fece attendere.
Egli, infatti, rilasciò delle dichiarazioni pesanti, perché a suo avviso il pool antimafia a Palermo si stava lentamente smantellando. Per tale motivo, il CSM lo sottopose a provvedimento disciplinare, e Falcone intervenne subito in favore dell’amico e collega. Il procedimento si concluse con un nulla di fatto, ma tale accaduto guastò la nuova vita di Borsellino che a Marsala si stava occupando della mafia trapanese. La zona trapanese per la mafia ha rappresentato un punto strategico, dove riciclare soldi. In quei mesi sulla scrivania di Borsellino arrivarono in documenti più importanti, come quelli su mafia e appalti che svelarono i rapporti di Cosa Nostra con importanti aziende del nord Italia.
Nel ’92 tutto precipita e si susseguirono una serie di stragi fino a quella del 19 luglio, che annientarono le personalità dell’antimafia. Paolo Borsellino non era solo un magistrato ma anche una persona umana. Era talmente attaccato la propria famiglia, che nell’ultimo periodo della sua vita aveva deciso di assumere un atteggiamento distaccato perché inconsciamente voleva evitare troppa sofferenza all’eventualità della fine della sua vita. La condanna a morte di Borsellino non è stata firmata solo della mafia, ma anche da qualche “collega Giuda” come egli stesso disse. Della sua agenda rossa, dalla quale non se ne separava mai e che probabilmente rappresentava la chiave di lettura per sgominare Cosa Nostra, non se ne ebbe più traccia.
Oggi 19 luglio ricordiamo Paolo persona umana e Borsellino magistrato dell’antimafia che dedicò la sua vita alla giustizia. Grazie a personalità come la sua, la comunità tutta e i giovani di oggi possono ricordare che l’onestà vera esiste. Solo se si lascia spazio all’omertà e alla paura il male potrà vincere, mentre se prevarrà il coraggio in noi vivrà per sempre lo spirito del giudice Paolo Borsellino.
Le parole di una lettera di Paolo Borsellino a una professoressa tutt’oggi lasciano il segno, ma soprattutto una missione, gli eroi sperano in noi: “Io sono ottimista poiché vedo che verso Cosa Nostra, i giovani siciliani e non, hanno oggi un’attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai 40 anni. Quando questi giovani saranno adulti, avranno più forza di reagire, di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.