La vita non si conta in anni. La vita si conta da come la vivi. Non si spiegherebbe altrimenti la morte di alcuni giovani, sempre i migliori. Non a caso forse i migliori.
Come Salvatore e non solo in campo. E’ stato l’accattante che tutti temevano, eppure nella vita attaccava soprattutto con il suo sorriso. Quel sorriso stampato e radicato nella sua capacità di coinvolgere, fare squadra. Il capitano! Capitano di molte squadre in cui ha giocato, per i tanti goal fatti e anche per quel carisma di saper trasmettere serenità, mettendo tutti a proprio agio. Un capitano che si faceva sentire, ma prima ancora volere bene, un capitano che guidava senza la necessità di fare polemiche! Quelle, quando c’erano, riusciva a smontarle, anche con quel contatto fatto di carezze e abbracci. RcSport scrive: “Conosciuto da tutti per le sue doti umane ancor prima che per quelle calcistiche”.
Il primo ad esserci quando c’era bisogno di aiuto, soprattutto per i più deboli, anche durante il lockdown. Uno dei migliori volontari dell’Associazione Mammalucco, schivo di foto. Quanti pacchi ha trasportato e portato alle famiglie, non sottraendosi mai. Con i suoi muscoli e quell’apertura alare che non sfoggiava, ma usava rendendosi disponibile.
Era felice di essere d’aiuto per gli altri eppure Salvatore non è stato immune al dolore, ma non si è affezionato al dolore, quel terribile dolore dovuto alla perdita della mamma, ma ha trasformato ancora di più quella sofferenza in dono, in capacità di condivisione. Perchè Salvatore ancora prima di essere papà di Emma e Luigi, ancora prima di essere marito della dolce Iosè, era figlio, fratello, gemello.
Marco e Salvatore. Due piccoli terremoti che riuscivano a spazientire da bambini perfino la mite Suor Ernestina che al catechismo li divise! Però erano due monellini simpatici. Mai cattivi. E anche Don Enzo se li metteva spesso accanto, perchè a lui un po’ lo temevano. Crescevano in altezza e cuore, dei giganti, ma mai tutti d’un pezzo.
Da ragazzino, durante un incontro di ACR, Salvatore fece una riflessione molto profonda che colpì tutti, tanto da essere poi citato dagli educatori per le parole che aveva detto. Salvatore si emozionò, stavano parlando proprio della sua sensibilità e genuinità, ma da buon gigante non voleva ammettere quella sua bella debolezza e alla domanda “Stai piangendo?” rispose singhiozzando: “No, mi è appena entrato un elefante nell’occhio”.
Capace della battuta e nello stesso tempo del silenzio e della parola giusta, ricercata, mai banale o superficiale. Mai offensiva. Sapeva ridere e far ridere, sapeva tenere allegra una compagnia, ma senza manie di protagonismo, nonostante fosse un campione e per un po’ di tempo anche impegnato politicamente e per la città, come consigliere comunale, nonostante la giovane età.
Una colonna in famiglia, un marito innamorato, un padre disposto ai sacrifici. Un amico fraterno per molti.
Un figlio che ora abbraccia la madre, in un abbraccio atteso e forse consolante seppure straziante. Un figlio che ha ereditato quel brutto male, che non deve essere mai usato come sinonimo per indicare difficoltà, perchè di cancro purtroppo ancora si muore. Col cancro si lotta e col cancro si spera.
Salvatore lascia anche due bimbi che sono troppo piccoli e che avrebbero dovuto godersi di più questo papà speciale, ma a loro lascia la scommessa che è possibile vivere con il sorriso, nonostante l’assenza, assenza che si riempie con la speranza che il mondo può essere cambiato. E Salvatore ha fatto anche più della sua parte per renderlo migliore.
Adesso tocca a noi non deluderlo. Tocca a noi continuare a giocare i supplementari senza il bomber, tocca anche a noi raccontare ad Emma e Luigi del loro papà capitano, con le ali.